SINTI E ROM NEWS

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lunedì 9 gennaio 2012

Porrajmos” - il genocidio degli zingari razzismo

“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari”: intervista a Marco Aime *

Nel 2009, nel suo libro“ La macchia della razza”, si rivolgeva direttamente a un bambino rom cui erano state prelevate le impronte digitali e gli porgeva delle scuse; si aspettava un tentato pogrom anti Rom a Torino, la sua città?

Non credo alle cosiddette “identità” delle città, che si potrebbero bollare o assolvere tutte intere. Credo che invece bisogna guardare seriamente al sentimento anti Rom che è diffuso nel Paese. Ovunque nel mondo, rispetto a culture stanziali, cova una tradizionale “antipatia” per i nomadi; i Rom europei, per non avere una nazionalità e un’istituzione che li protegga, sono la “categoria debole” per eccellenza.
E’ significativo che una ragazza italiana reputi meno grave accusare innocenti che dichiarare il suo primo amore e scelga i Rom, assecondando la narrazione dominante che fa di tutti loro dei potenziali delinquenti (a questo proposito i media hanno una grave responsabilità nel modo in cui hanno riportato nazionalità ed etnie nei titoli). Incredibile, però, che una semplice diceria scateni un raid di cittadini giustizieri: sarebbe successo se l’accusato di stupro fosse stato italiano? Questo deve fare riflettere.
Inoltre, se l’Olocausto degli ebrei è giustamente regolarmente ricordato, con la Giornata della Memoria, è sintomatico che non si dedichi alcuna ricorrenza agli almeno 500.000 zingari eliminati nei campi di sterminio nazista; la loro memoria è stata cancellata. Ricordare maggiormente il “Porrajmos” - il genocidio degli zingari – potrebbe aiutare a meglio contrastare il razzismo anti Rom e Sinti.

I due episodi ravvicinati di Torino e Firenze sono il segno di un ritorno violento del razzismo o questo non è mai stato davvero debellato?
Il propagato mito di Italiani “brava gente” ha celato la realtà coloniale, le leggi razziali e i veri sentimenti che serpeggiano tutt’oggi nella cultura. Le due tragedie recenti hanno però modalità diverse tra loro. A Torino è l’esplosione di una specie di razzismo “di pancia”, che covava sotto la brace, ma a Firenze è una forma di razzismo pianificato, scientifico, di stampo neonazista e negazionista. Se il “razzista” di Firenze era anche un “pazzo”, ha in realtà l’appoggio e il sostegno di molta gente vicina a Casa Pound e all’estrema destra, che in Rete fanno di lui un “eroe”. Credo che sia solo la punta dell’iceberg di un vasto fenomeno finora sottovalutato dalle istituzioni, che non hanno abbastanza punito il reato di apologia di fascismo, sancito dalla nostra Costituzione.
- Quali sono le altre responsabilità della politica e della destra istituzionale?
Le dichiarazioni di stampo razzista della Lega al nostro Governo, sono state da tutti sottovalutate come mere “battute”, quando in realtà legittimavano sentimenti xenofobi nella società: creavano una “mentalità”. La politica tutta ha una responsabilità deleteria per avere, in assenza di ideali, inseguito gli umori della gente a fini elettorali. Anche la sinistra ha preso le impronte digitali ai Rom e le numerose ordinanze anti-ambulanti dei sindaci, Firenze inclusa, hanno agito vere e proprie retate di migranti africani nelle piazze delle città. Alla retorica xenofoba della destra, la sinistra non ha saputo opporre una risposta culturale.

Con la crisi e l’ossessione della crisi, con la recente manovra economica che marginalizza sempre di più intere fasce della popolazione, si può temere uno scenario assimilabile a quello di Weimar?
Le crisi economiche e il disagio sociale, si sa, sono sempre terreni fertili per il proliferare di sentimenti xenofobi e per la ricerca di capri espiatori ai problemi di lavoro, di pauperizzazione… Ma credo che i recenti eventi razzisti, ovunque in Europa, siano il sintomo del fallimento della costruzione di vere democrazie partecipate e della visione di noi stessi aperti al mondo, che ha per risultato localismi e rivendicazioni etniche. Le grandi narrazioni come il socialismo e la politica degli anni ’60 ci davano un ideale di noi stessi come “parte di un tutto”. Purtroppo la poesia, attribuita a Brecht, “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari” mi sembra oggi attuale come mai.
*Antropologo torinese e autore di numerosi saggi, insegna Antropologia Culturale all’Università di Genova

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